Il teatro di Brecht

Il teatro di Brecht

Si può dire in generale che a noialtri, gente comune, vincere o perdere ci costa caro lo stesso. La cosa migliore per noi, è quando la politica non fila bene” (Bertolt Brecht, Madre Coraggio e i suoi figli)

Considerato – credo a ragione – uno degli autori e registi più influenti del Novecento, Brecht impersona perfettamente il suo tempo, sia da un punto di vista biografico che artistico.

Eugen Berthold Friedrich Brecht nasce nel 1889 nella città di Augusta. Dopo la giovinezza passata a Monaco, nel 1922 Brecht si stabilisce a Berlino, che in quel momento si trovava ad essere la capitale culturale della Repubblica di Weimar. Qui il giovane Brecht può entrare in contatto con gli intellettuali – letterati e uomini di teatro – dei gruppi avanguardistici più importanti della città.

In seguito a questo primo incontro la scrittura di Brecht si orienta fortemente verso l’avanguardia.

Fin dalle prime esperienze di scrittura tuttavia Brecht rielabora i principi dell’avanguardia e li traspone con uno stile particolare, preludio di quello che sarebbe diventato il Teatro epico.

A Berlino Brecht si avvicina anche alle ideologie socialiste. Le opere che scrive in quegli anni – sempre più schierate politicamente – fanno sì che egli non sia visto di buon occhio dal governo di Hitler. Nel 1933 Brecht è infatti costretto a scappare dalla Germania. Fino al suo ritorno in patria – che avverrà nel 1948 – Brecht si sposta e soggiorna nelle principali capitali europee, da Parigi a Vienna, dalla Svizzera alla Danimarca. Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale Brecht si stabilisce invece nelle regioni scandinave, dove compone le sue opere più famose. A causa dell’aggravarsi della situazione in Europa, nel 1941 Brecht attraversa la Russia e da lì arriva negli Stati Uniti. Qui tuttavia Brecht fatica a trovare la sua dimensione: le ideologie teatrali delle avanguardie europee sono lontane e il loro peso culturale è stato sostituito dal cinema di Hollywood.

È solo dopo la fine della guerra che Brecht può finalmente tornare a casa, in una Berlino distrutta e irrimediabilmente divisa anche da un punto di vista politico. Egli decide – in linea con le sue idee politiche – di stabilirsi a Berlino est, dove diviene Direttore di un teatro molto importante in città, il Berliner Ensemble, che inaugura con una rappresentazione della sua celebre “Opera da tre soldi”.

Il clima sempre più soffocante imposto dal comunismo porta Brecht a essere critico nei confronti di quel regime, senza tuttavia mettere mai in discussione il marxismo: l’ideologia va difesa, semmai è l’interpretazione che ne dà il governo di Mosca a dover essere messa in discussione. Brecht tuttavia non entra mai in aperto conflitto con il regime di Stalin e dedica il resto della sua vita al teatro, fino alla sua morte, avvenuta nel 1956.

Brecht ha vissuto in prima persona il clima di divisione e di scarsa appartenenza provocato dalla Seconda guerra mondiale e dal periodo del dopoguerra. E proprio di questo senso di straniamento egli ha fatto la pietra miliare di tutta la sua arte.

Invocando un nuovo teatro si invoca un nuovo ordine sociale” (Bertolt Brecht, Scritti teatrali)

Come artista Brecht nasce e cresce nel contesto berlinese. È però con la guerra e il conseguente esilio forzato che Brecht arriva alla formulazione di quello stile che lo ha poi contraddistinto. Mentre è solo dopo il ritorno a Berlino est che Brecht può finalmente iniziare a tutti gli effetti la sua attività di regista presso il Berliner Ensemble, il “teatro stabile” della città.

L’idea di teatro che Brecht ha maturato negli anni dell’esilio è una forma teatrale che porta a soluzioni completamente nuove e al di fuori di qualsiasi schema preesistente.

Il nuovo teatro che va in scena al Berliner è – come lo definisce lo stesso Brecht – teatro epico. Non tuttavia epico nel senso antico del termine: ci si troverà semmai di fronte a rappresentazioni popolari, che ben poco hanno a che fare con il teatro che gli spettatori di Berlino erano abituati a vedere.

Il teatro epico di Brecht si basa su alcune caratteristiche fondanti, come la massiccia presenza di antifrasi, l’utilizzo di un linguaggio popolare, l’uso di canzoni, di scene sconnesse l’una dall’altra e una particolare tecnica recitativa messa in pratica dai suoi attori. L’effetto che ne deriva – lo straniamento – ha diverse ragioni d’essere nel pensiero teatrale di Brecht. Innanzitutto, il teatro per Brecht doveva essere sociale, in contrapposizione alla grandeur degli spettacoli che di solito popolavano i teatri berlinesi.

Ma per essere sociale il teatro ha bisogno di una caratteristica fondamentale: deve far pensare e riflettere gli spettatori. Ed è per questo che Brecht ha ideato la tecnica attorica dello straniamento. Un attore completamente calato nella parte porta il pubblico a immedesimarsi, e una volta immedesimati gli spettatori non mettono in discussione le parole o le azioni dei personaggi. Se l’attore stesso invece non si riconosce in quello che dice o che fa l’effetto è completamente diverso. Senza l’elemento di completa adesione al personaggio, anche gli spettatori mettono in discussione quanto avviene davanti a loro. E questa messa in discussione è esattamente il risultato cui Brecht vuole arrivare. Un teatro che non dà nulla per scontato, che fa riflettere, che non viene accettato per quello che è. Un teatro che stimola domande. Questo risultato pare particolarmente importante se calato nel contesto storico in cui si sviluppa: è come se la Berlino est del dopoguerra avesse avuto bisogno di questo, di non lasciarsi andare alle disgrazie appena vissute, ma di essere consapevole di quanto appena successo e in cerca di una scossa che le avrebbe permesso di ricominciare.

Le opere di Brecht, senza mai citarlo direttamente, parlano del suo tempo, delle problematiche che tutti si trovano ad affrontare, della perversione dei regimi, degli errori e della bassezza degli uomini. L’immagine che si staglia da queste opere è tutt’altro che rassicurante, ma anche terribilmente autentica. Brecht riesce a tradurre la realtà in parole, a mostrare attraverso il filtro dell’opera scenica la quotidianità, le tragedie e le contraddizioni degli uomini.

Forse Brecht non parlava soltanto del suo tempo, forse stava descrivendo anche il nostro.

Forse – più in generale – Brecht stava descrivendo gli uomini nella loro totalità, senza calarli in un tempo specifico: il fatto che i tempi di Galileo, la guerra dei Trent’anni in cui ambienta le vicende di Madre Coraggio, o ancora la rivisitazione del classico greco Antigone siano così riconducibili agli anni ’50 del Novecento e – ora possiamo dirlo – al tempo presente fa pensare che forse nulla è mai cambiato, e che la storia non fa altro che ripetersi inesorabile.