“Avignon, c’est également un esprit : la ville est un forum à ciel ouvert, où les festivaliers parlent des spectacles et partagent leurs expériences de spectateurs. Un mois durant, tous peuvent avoir accès à une culture contemporaine et vivante.” (dal Progetto artistico del Festival)

[“Avignone è anche uno spirito: la città è un forum a cielo aperto dove i partecipanti al festival parlano degli spettacoli e condividono le loro esperienze come spettatori. Durante un mese tutti possono avere accesso a una cultura contemporanea e viva”]

Nato nel 1947 grazie a Jean Vilar, il Festival teatrale per eccellenza è giunto quest’anno alla sua 72° edizione. Teatro, musica, danza e arti plastiche prendono possesso della città francese ogni anno a luglio per animare gli spazi storici – e non solo – della città con una proposta artistica di tutto rispetto.

Ogni anno solo circa 40 gli spettacoli proposti durante il festival. Oltre a questi mostre, concerti, letture, cinema, momenti d’incontro rendono la Città dei Papi uno dei maggiori crocevia di scambio internazionale e interculturale. Fra gli spettacoli inoltre, molti sono prime su suolo francese, il che contribuisce a alzare il livello della proposta artistica del festival. Spettatori che vengono non solo da Avignone e Parigi ma da tutto il mondo si ritrovano ogni anno nella Città dei Papi per prendere parte agli eventi del Festival, per assistere agli spettacoli e per immergersi nell’atmosfera di uno dei più importanti festival di arti dal vivo al mondo. Anche i luoghi deputati ad accogliere gli spettacoli del festival non sono da meno: edifici storici, chiostri, corti, teatri al chiuso così come teatri all’aperto, fino al luogo per eccellenza, la corte d’onore del Palazzo dei Papi.

Durante il mese del festival l’intera città di Avignone si trasforma per accogliere artisti, spettatori, giornalisti o semplici curiosi. Si viene a creare un ambiente unico, magico, di scambio e di arte a tutto tondo. Avignone diventa una “città-teatro”, in cui tutto e tutti ruotano intorno al festival, alle possibilità che questo offre e alle magie che rende possibili.

Non solo spettacoli “classici”, ma danza contemporanea, atelier, teatro sociale, presentazioni e altre iniziative possono essere fruite all’interno del festival. Nella programmazione 2018 l’attualità è molto presente, attraverso tutte le modalità appena elencate.

È presente come spettacolo attraverso il lavoro del regista Richard Brunel, “Certaines n’avaient jamais vu la mer”. Questo spettacolo, adattamento teatrale del libro di Julie Otsuka, “Venivano tutte per mare”, narra la tragedia di centinaia di donne giapponesi che, negli anni ’20 del ‘900, venivano mandate in America con la speranza di potersi rifare una vita. Il testo – così come la pièce teatrale – narra del loro disincanto una volta giunte su suolo americano: ad attenderle non c’è la terra dell’oro, ma solo un’altra invisibile esistenza.

Anche la danza si presenta come modo per parlare di attualità. “Saison sèche”, realizzato da Phia Ménard tratta il tema del corpo attraverso la realizzazione di uno spettacolo di danza contemporanea. I comportamenti umani sono di grande interesse per questa artista, che già da anni li indaga attraverso un ciclo di spettacoli non ancora terminato. Fin dal 2008 – anno in cui l’artista termina il suo processo di transizione da uomo a donna – l’interesse per il corpo e per i suoi comportamenti diventano una costante per la danzatrice francese. In questo spettacolo in particolare si può assistere alla lenta nascita di un rituale, a una sorta di nuova poesia che va rafforzandosi e che permette agli spettatori di vivere un’esperienza quasi fisica e reale.

Nella programmazione del festival si può poi trovare uno spettacolo di teatro-carcere diretto da Olivier Py, dal 2013 alla guida del Festival d’Avignon. Il suo interesse e il suo lavoro nell’ambito del teatro-carcere hanno portato alla nascita di una lunga e costante collaborazione tra il Festival e i detenuti del Centro penitenziario di Avignon – Le Pontet. L’atelier diretto da Py con la collaborazione di Enzo Verdet ha portato alla messa in scena di vari spettacoli classici: il “Prometeo incatenato” di Eschilo, “Amleto” di Shakespeare e, in questa edizione del festival, “Antigone” di Sofocle. Recuperando il dramma dei figli di Edipo e il dramma di Antigone che, sola contro tutti, decide di seppellire il fratello, Py e Verdet – e i detenuti-attori che hanno partecipato all’atelier – vogliono mandare un messaggio a tutti gli spettatori, e cioè “quest’idea che un uomo resta un uomo, qualsiasi cosa abbia fatto”.

L’attualità resta protagonista del festival anche tramite incontri pubblici e seminari, come ad esempio “Des faites, des fakes: la jeunesse face à l’info” (“Fatti e fake: i giovani e l’informazione”). Un incontro aperto che ha l’obiettivo di parlare delle minacce delle fake news nel mondo dei social, e come i giovani frequentatori possono proteggersi e difendersi da questa realtà ormai sempre più radicata nella quotidianità. Un incontro promosso dal Sindacato nazionale dei giornalisti che – nel centenario della sua fondazione – si impegna per preservare la verità dell’informazione.

Un’edizione densa di spettacoli ed eventi quella che si è appena chiusa ad Avignone. Un’edizione che ha fatto i conti con tanti temi legati all’attualità e che ha dato la possibilità a quanti si sono trovati a passare per le strade della città di guardarsi intorno con spirito critico. Un festival che – nonostante la sua importante storia – non resta ancorato al passato ma ha sempre un occhio al presente e al futuro del teatro e che è in grado di porsi come sorta di apripista per le novità e i nuovi modi di vedere l’arte teatrale e non solo.

Un festival che permette di confrontarsi con sé stessi e con gli altri, con la storia e con il presente.

Nato nel 1971 sull’onda dei movimenti originatisi a partire dal ’68, il Festival di Santarcangelo – originariamente Festival Internazionale del Teatro in Piazza – si afferma sin dalla prima edizione come un festival nuovo, fuori dalle righe e al passo coi tempi.

Le ideologie sessantottine spingono l’allora direttore artistico, Piero Patino, a creare un festival politicizzato, che mettesse insieme l’ideologia e il folklore, le grandi tematiche e i cittadini.

Da quel momento, quello che ogni anno si sviluppa a Santarcangelo, è un festival all’avanguardia, attento alle istanze nazionali e internazionali che riguardano le arti e il teatro: dalla nascita del Terzo Teatro di Eugenio Barba, alle teorizzazioni di Grotowski, fino al Living Theatre. E tutto sotto il segno di Artaud.

Il festival si trova a cavalcare l’onda dell’attualità e dell’avanguardia del secondo Novecento come mai nessuno era stato in grado di fare in Italia, e si ritrova anche nella posizione di rappresentare una grande opportunità di incontro tra persone, artisti e generazioni, che sul terreno del festival sono libere di manifestare la propria arte. Questa linea si riflette anche e soprattutto nei nomi degli artisti chiamati a partecipare la festival in questi anni.

La paura – o la costante fuga dalla paura – è la condizione più pervasiva della contemporaneità” (Eva Neklyaeva e Lisa Gilardino)

La 48° edizione del Festival di Santarcangelo è stata incentrata su questo tema: la paura. Sebbene non sia spesso citato, questo sentimento si sta facendo sempre più spazio nel nostro quotidiano: abbiamo paura di quello che sappiamo, di quello che non sappiamo e di quello che pensiamo; abbiamo paura di ciò che è lontano e di ciò che è vicino; abbiamo paura del diverso, ma a volte anche di ciò che è troppo simile. Al festival è stata trattata in particolare la dimensione politica della paura, o meglio, le ripercussioni sul piano politico inteso in senso lato che la nostra paura crea, il modo in cui essa modifica le nostre vite, il nostro modo di rapportarci con quanto ci sta intorno e con ciò con cui ci identifichiamo.
Gli spettacoli presentati in questa edizione del festival avevano proprio lo scopo di indagare la paura che è insita in tutti noi. Pur trattando il tema da prospettive e tramite espedienti diversi, tutti gli spettacoli presentati hanno a che fare con una specifica sfumatura di questo sentimento.
Dalla paura di genere, alla paura di ciò che è diverso, fino alla paura dei boschi di notte – idea forte del festival – tutto ciò è stato trattato all’interno di questa edizione, che ha voluto lasciare i partecipanti “col cuore in gola”.

Una performance in particolare penso abbia trattato il tema in maniera estremamente efficace.

Your word in my mouth, questo il titolo della performance firmata Anna Rispoli, Lotte Lindner&Till Steinbrenner.

Una performance che – grazie alle parole di persone vere – permette a chi partecipa di confrontarsi molto da vicino con le nostre più intime paure. Nove persone, nove interviste condotte lungo l’arco di diversi mesi in vari quartieri della città di Bruxelles. Nove persone che non si sono mai confrontate tra di loro, e che spesso non si sono nemmeno conosciute. Ma tutte guidate dalle abili mani della regista, Anna Rispoli. Il tema, o piuttosto il pretesto, è l’amore. I vari tipi di amore. Un dialogo impossibile che ha portato questi nove intervistati a mettersi a nudo e a mettere a nudo la loro personale concezione dell’amore inteso in ogni sua sfaccettatura. Ma l’amore in certi momenti lascia il posto a tanto altro: politica, integrazione, esperienze, disaccordi, religione, e tutto quanto possa ruotare intorno alla vita di questi nove individui. Non sono tuttavia costoro a narrarci le loro vicende. Siamo noi. Nove persone tra il pubblico, una volta preso posto, si trovano davanti un copione chiuso. Davanti a loro una targhetta con un nome: Jean-François, Ella, Philippe, Princesse, Ivo, Tahel, Ines e suo fratello, David. A questi il compito di seguire il copione e di leggere all’impronta le parole pronunciate nel corso delle interviste – spesso da solo a solo – con l’autrice. Un sapiente lavoro di montaggio permette di far dialogare fra loro queste persone che non si sono mai viste ma che hanno avuto la possibilità di scambiarsi domande e risposte attraverso la Rispoli. Un dialogo impossibile che diventa possibile nel momento stesso in cui viene letto da nove persone sedute intorno a un tavolo; ed è come se in questo modo i nove protagonisti originari – sebbene a distanza di centinaia di chilometri e di mesi – si potessero incontrare per la prima volta.

Ritengo che il merito di questa performance sia di dimostrare a quanti partecipano che forse la paura non è solo quella dei boschi di notte.

Forse la paura è anche quella di vedersi nei panni di uno sconosciuto, di capirlo e di diventarlo per un paio d’ore. Paura dell’empatia che può farci scoprire nuovi lati di noi stessi che non abbiamo mai visto – o che forse non abbiamo mai voluto vedere.
Penso però che il messaggio più forte dello spettacolo si sveli solo alla fine, quando a ogni lettore viene chiesto di pronunciare il proprio nome – quello vero – e in quel momento, dopo aver alzato gli occhi ed essersi guardati intorno un po’ imbarazzati, ci si trova insieme a tutti coloro che hanno preso parte alla performance; quando il primo istinto è quello di dire “quello non ero io, quello che ho letto non mi appartiene”, ma con la consapevolezza che in fondo, forse, un po’ quel personaggio lo si è stati.

Un’edizione 2018 che ha permesso ai partecipanti del festival di mettere a nudo sé stessi e di potersi confrontare con i propri fantasmi – reali o metaforici – in una cornice sempre pittoresca e poetica come quella del borgo di Santarcangelo. Due settimane di riflessione, di sfide e di risultati, che hanno permesso ad artisti e pubblico di guardarsi intorno e, forse, di avere un po’ meno paura.

Ha preso il via venerdì 29 giugno la 61° edizione del Festival di Spoleto, che si concluderà il 15 luglio.

Nato nel 1958 grazie al compositore Gian Carlo Menotti il Festival dei Due Mondi è oggi uno dei più reputati a livello nazionale. Parte della sua importanza è dovuta al fatto che si tratta di un festival “totale”, che non prende in considerazione una sola tipologia artistica. Teatro, musica, danza, opera, ma anche eventi e arti visive sono i veri protagonisti di questo festival che si snoda attraverso le vie della piccola città di Spoleto trasformandola in un luogo d’incontro e di scambio.

Come ogni anno grandi artisti si alternano sui palchi di teatri, palazzi e parchi di Spoleto per animare le giornate del festival: Romeo Castellucci, Franco Branciaroli, Corrado Augias, Robert Carsen, Francesco de Gregori, Alessandro Baricco e, presente quest’anno per la prima volta, Marion Cotillard, sono solo alcuni dei nomi che Spoleto vede sfilare quest’anno.

Ma, come già detto, il Festival dei due Mondi prevede anche eventi e una sezione riservata alle arti visive. In particolare, per l’edizione 2018 è stata installata una mostra a tema scientifico dal titolo “Il mistero dell’origine. Miti Trasfigurazioni Scienza”, che resterà aperta per tutta la durata del festival.

Ma non è solo la scienza la protagonista degli eventi del festival di Spoleto. Anche il teatro-carcere torna in scena quest’anno con lo spettacolo “NESSUNO torna ad Itaca ‘Si non se noverit’”, prodotto da Sinenomine e con la partecipazione dei detenuti della Casa di Reclusione di Maiano di Spoleto. Per quanto riguarda la programmazione più strettamente teatrale del festival 2018, sono a mio avviso parecchi gli spettacoli degni di nota. Iniziando con “The beggar’s opera”, scritto da John Gay e qui riadattato dal regista Robert Carsen. Quella che viene considerata la prima commedia musicale della storia torna a parlarci di temi ancora attuali come ineguaglianza sociale, politici corrotti e cinismo.

Torna anche Romeo Castellucci con “Giudizio. Possibilità. Essere.”, spettacolo prodotto dalla Socìetas. Lo spettacolo si presenta come una rilettura dell’opera “La morte di Empedocle” di Friedrich Hölderlin. Luogo di rappresentazione: una palestra. Sebbene il luogo possa sembrare a primo impatto poco consono alla poesia che si andrà ad ascoltare, l’intento di Castellucci nello scegliere questo luogo è proprio quello di portare nel presente l’opera del poeta tedesco, e situare la rappresentazione in un luogo non teatrale sembra essere il modo giusto. Quella che si snoda davanti agli occhi degli spettatori ha quasi l’aria di essere la prova di un giovane gruppo di ragazze. Dietro, invece, l’esperienza e la sapienza teatrale di Castellucci si ergono a garanzia della riuscita dello spettacolo che – sfidando tutti i canoni del teatro “ufficiale” – promette ancora una volta di riuscire a parlare e toccare gli spettatori.

Anche Alessandro Baricco sarà parte integrante di questa edizione del festival. L’acclamato attore porta in scena la lettura di un suo testo, Novecento. Uno spettacolo che non sarà quindi recitato, ma solo ed esclusivamente letto.

Andrà in scena l’ultima sera del festival – il 15 luglio – l’opera che vede come protagonista Marion Cotillard. L’attrice francese sarà protagonista di un’opera in musica, con la regia di Benoît Jaquot, che racconta gli ultimi istanti di vita di Giovanna d’Arco. “Jeanne d’Arc au bûcher”, questo il titolo dell’opera che segna la prima partecipazione dell’attrice al Festival di Spoleto. Questo spettacolo precipiterà ancora una volta gli spettatori nel mondo e nella storia di una fra le prime eroine della storia, ancora capace di ispirare e far parlare di sé.

Questi sono solo alcuni dei molti titoli che si alterneranno sui palchi del Festival. La ricca programmazione promette anche quest’anno di rendere il festival indimenticabile. La realtà e l’immaginazione si incontreranno ancora una volta tra le strade della cittadina umbra per offrire a partecipanti e spettatori un affresco magico e coinvolgente, sotto il segno dell’arte intesa in ogni sua declinazione. Due settimane per mostrare la convivenza di Due Mondi paralleli ma che forse, in realtà, possono ancora incontrarsi.

La scommessa resta rischiosa, ma ritengo che anche quest’anno il Festival ci mostrerà come vincerla.

“Custodi della memoria, promotori di cultura”

Questa dicitura si trova – fra le altre – sul sito dell’INDA (Istituto Nazionale del Dramma Antico) di Siracusa, fondazione che ogni anno organizza un festival completamente incentrato sul dramma antico di epoca greca. Un festival che guarda alle origini del teatro, a quei luoghi, a quelle opere che hanno fatto nascere e hanno portato alla luce la bellezza del teatro, e che continuano a ispirare teatranti di tutto il mondo ancora oggi. Le vere opere classiche, intramontabili, che sanno ancora parlarci dopo secoli dalla loro prima rappresentazione.

Arrivato quest’anno alla sua 54° edizione, il festival si presenta con una programmazione degna di nota che coinvolge alcuni fra gli attori e i registi attualmente più importanti del panorama nazionale e internazionale.
L’edizione 2018 – iniziata il 10 maggio e che si concluderà il 18 luglio – vede in scena tre opere scritte da tre fra i più grandi autori di lingua greca.
Gli spettacoli messi in scena sono: “Edipo a Colono” di Sofocle, con la regia di Yannis Kokkos; “Eracle” di Euripide, per la regia di Emma Dante; “I cavalieri” di Aristofane, con la regia di Giampiero Solari.
Questa edizione ospiterà inoltre alcuni eventi speciali, come “Conversazione su Tiresia”, scritto e interpretato da Andrea Camilleri, con la regia di Roberto Andó; “Le rane” di Aristofane, con protagonisti i comici Ficarra e Picone, e con la regia di Giorgio Barberio Corsetti; “Palamede”, di e con Alessandro Baricco e Valeria Solarino.

Contemporaneamente al festival “vero e proprio” si sviluppa inoltre una rassegna parallela, l’INDA giovani, iniziata il 12 maggio e conclusasi l’11 giugno. Giunta quest’anno alla 24° edizione, la rassegna dei giovani vede impegnati studenti provenienti da tutto il mondo che portano a Siracusa le loro riletture delle opere sacre della mitologia greca.
Scuole superiori, così come classi universitarie provenienti da ogni dovesi ritrovano a Siracusa per confrontarsi tra loro e con il pubblico sui temi dei grandi autori greci e per mettersi alla prova come attori e registi, portando sul palco adattamenti nuovi, pensati e creati da loro.

Importante è anche per la rassegna il carattere internazionale: non solo confronto sulle opere, ma anche un confronto fra culture chiamate a rileggere, ognuna con il suo retaggio e le sue esperienze, i testi classici su cui gran parte delle culture si basano. L’attenzione ai giovani e al futuro del teatro si manifesta a Siracusa anche grazie all’Accademia d’arte del dramma antico, che forma giovani attori che saranno i futuri grandi interpreti delle opere portate al festival.

Nel concept del festival 2018, a cura di Luciano Canfora, si legge: “Perché la metafora del potere è metafora della vita stessa, è apologo morale che ci obbliga a riflettere sulla precarietà della sorte umana, sulla sua mutevolezza imperscrutabile e spesso irragionevole. Intorno a questa riflessione si aggrovigliano i nodi esistenziali degli eroi – positivi e negativi – della tragedia greca”.

I tre spettacoli sopra menzionati che vanno in scena quest’anno sul palco del festival, infatti, sono collegati da un filo rosso che conduce fino al tempo presente: il potere. Questo è infatti il tema principale dell’edizione 2018 del festival, il potere in tutte le sue sfaccettature più negative, ma anche più realistiche. In particolare, attraverso queste opere si indaga il modo in cui il potere agisce e plasma le vite dei tiranni, dei cittadini e di tutti coloro che si trovano a fare i conti con questa entità che da secoli governa il mondo – a volte a discapito degli uomini stessi.

Due tragedie e una commedia che si fanno beffe di eroi, popolo, tiranni e Dei.

Partendo dalle lotte per il potere dei due figli di Edipo, la cui vicenda sfocerà in una delle tragedie più conosciute di Sofocle, Antigone, emblema dell’opposizione fra potere e giustizia; passando per il potere di rendere pazzi, tema trattato nell’Eracle di Euripide, in cui a farla da padrone sono gli Dei, i loro crucci, le loro antipatie e infine il loro immenso potere di cambiare la sorte degli uomini; per poi arrivare alla dissacrante commedia di Aristofane, in cui un Popolo personificato si trova a dover scegliere fra un servo e un salsicciaio – emblema della bassezza – in uno scontro fatto di bassa demagogia e insulti. Inaspettatamente, almeno in questa commedia, alla fine il Popolo dimostra la sua intelligenza e, grazie a un sortilegio, si unisce alla bella Tregua, con cui può vivere una vita tranquilla. Un tema particolarmente attuale e che, a mio parere, ben si adatta alla quotidianità, che sembra aver dimenticato gli insegnamenti degli antichi. Una critica sferzante che ha attraversato i secoli grazie alle parole dei maestri del teatro e che continua ancora oggi a farci riflettere e a dimostrarci che la storia – volenti o nolenti – si ripete, e che nulla è mai cambiato davvero.

Ed è così che eroe e antieroe diventano facce della stessa medaglia e della stessa persona, ed è così che nella tragedia greca il tiranno diviene figura titanica nella sua grandezza, il cui prestigio e potere si ritorcono anche, anzi soprattutto, contro sé stesso: persino al di là della sua stessa volontà” (L.C.)